Il Testo unico sulle foreste e filiere del legno (Tuff), approvato in extremis dal governo Gentiloni nel 2018, ha liberalizzato il patrimonio forestale italiano, consentendo un uso privatistico della risorsa legno per tornaconti economici. Ora è in via di approvazione uno dei dieci decreti attuativi del Testo unico, la ‘Strategia forestale nazionale (Sfn) per il settore forestale e le sue filiere’, che prospetta uno scenario inquietante proteso a favorire le ‘filiere del legno’. Per i prossimi venti anni, periodo di validità della Sfn, il patrimonio forestale italiano potrà essere decimato a vantaggio dell’industria del legno. Non resterà nemmeno un albero. Bisogna opporsi alla distruzione delle nostre foreste per la sopravvivenza stessa dell’umanità.
L’assalto definitivo alle foreste italiane sarà legittimato a partire dal 28 maggio prossimo, data in cui sarà chiusa la breve fase di consultazione pubblica – riservata alla società civile e alle associazioni per presentare le proprie proposte sulla “Strategia forestale nazionale (Sfn) per il settore forestale e le sue filiere” – e avrà inizio la fase di concertazione con le Regioni.
Elaborata dal Tavolo tecnico istituito dal Ministero dell’agricoltura (Mipaaf) nel settembre 2018, la Sfn è uno dei dieci decreti attuativi (due dei quali già approvati dal ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali Teresa Bellanova) del Tuff, Testo unico foreste e filiere forestali. Il governo Gentiloni, nei suoi ultimi giorni di attività, quando si sarebbe dovuto occupare solo dell’ordinaria amministrazione, ha licenziato il Tuff, che equipara boschi e foreste italiane a vere e proprie “miniere energetiche”, dando il via libera allo sfruttamento della risorsa legnosa e depauperando i boschi di molti esemplari, immolati nelle centrali a biomasse, sorte come funghi nell’intera penisola.
Tra le maggiori criticità del Tuff si riscontra la parificazione tra boschi cedui e fustaie: i primi sono tagliati periodicamente (di solito ogni 10/30 anni) e si rigenerano grazie all’emissione di polloni, cioè di ricacci dalla ceppaia; le fustaie sono boschi d’alto fusto tagliati a intervalli di almeno 40/100 anni, in modo tale che possano rinnovarsi con la nascita di nuove piantine (plantule). Tutti i rimboschimenti, inoltre, anche quelli storici eseguiti a fine ‘800, che fanno ormai parte del patrimonio paesaggistico tradizionale e che il Testo unico sostiene di voler preservare, sono esclusi dalla categoria ‘bosco’ e si evince, dunque, che possono essere eliminati. Lo stesso vale per i rimboschimenti eseguiti con i finanziamenti dell’Unione europea.
Per quanto riguarda la cosiddetta “valorizzazione”, è necessario sottolineare che essa, nell’ottica del Ministero dell’agricoltura Mipaaf (ricordiamo che tutte le foreste sono sotto il suo ambito gestionale anziché quello del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare Mattm), diventa sinonimo di sfruttamento: i boschi sono messi sullo stesso piano dei terreni agrari, come se fossero sistemi artificiali e non dotati di una propria capacità auto-organizzativa. Pertanto, un bosco, che per volere del suo legittimo proprietario evolve naturalmente verso forme più complesse e stabili, viene considerato abbandonato. Si deve aggiungere che l’evoluzione naturale degli ecosistemi, non gestiti in maniera antropica, generalmente comporta un potenziamento della biodiversità.
Il Tuff, dunque, liberalizza il patrimonio forestale italiano per un uso privatistico dei beni, ispirandosi a falsi principi silvi-colturali e viola, secondo alcuni giuristi, oltre all’art. 9 della Costituzione (tutela del paesaggio), anche gli artt. 32 (tutela della salute), 41 (libertà di iniziativa dei privati), 42 (proprietà collettiva demaniale e funzione sociale della proprietà), 117 (tutela dell’ambiente e dell’ecosistema). Partorito dal ventre delle politiche agricole che parificano i campi agricoli alle foreste, il Testo unico manca di qualsiasi riferimento alla fauna, alle sue funzioni negli ecosistemi forestali, alla sua protezione e non tiene conto né degli accordi di Parigi, né dell’emergenza climatica.
Intanto, i boschi nell’intero pianeta stanno scomparendo a ritmi vertiginosi, mentre sono aumentati gli incentivi europei per le biomasse, poiché erroneamente si parla dei boschi come “energia rinnovabile”. Si ignora non solo che i tempi di rinnovo degli ecosistemi forestali sono molto più lenti dei ritmi di utilizzo, ma anche che l’albero, prezioso per la salute dell’uomo, può costituire un vero e proprio pericolo se inserito in processi di combustione e di produzione energetica lineari, quelli, cioè, che hanno un inizio, una fine e una conseguente produzione di sostanze tossiche e pericolose scorie finali. Si ritiene che i maggiori responsabili dei cambiamenti climatici, già oggi impattanti su ambiente e salute umana, siano proprio i processi di combustione di origine antropica, che immettono gas climalteranti in atmosfera. Già oggi in Italia le biomasse solide sono responsabili di circa il 70% del PM2,5 primario, che rappresenta (dati Ispra) circa la metà del PM2,5 totale, responsabile di 59.630 decessi prematuri ogni anno (Agenzia europea per l’ambiente Eea, 2016).
Il Ministero delle politiche agricole sta delineando il destino (a nostro avviso infausto) dei boschi italiani da qui ai prossimi 20 anni, questo sarà, infatti, il lungo periodo di validità della Strategia forestale nazionale per il settore forestale e le sue filiere. Sino al 28 maggio p.v. è aperta la consultazione pubblica (www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/15339) riservata a cittadini e associazioni, per raccogliere considerazioni sulla ‘Strategia nazionale forestale’ (collegato al Testo unico foreste e relativi decreti attuativi in fase di elaborazione), per elaborare le linee guida che dovranno essere poi recepite dalle Regioni. Lo scenario prospettato è proteso a favorire le ‘filiere del legno’ e la ‘transizione’ prevista dai piani energetici europei, e dunque nazionali, dall’energia fossile a quella ‘rinnovabile’ (in cui rientrano le biomasse legnose e da matrici agricole). Si tratta di aberrazioni semantiche volte a trasfigurare la realtà dei fatti con argomentazioni spesso avallate da talune università. Intanto, l’Unione europea ha pubblicato la nuova Strategia per la biodiversità 2020-2030, uno dei primi documenti del Green Deal che si pone obiettivi ambiziosi per il prossimo decennio, a volte in contrasto con il Tuff. Ne riportiamo alcuni:
- tutte le foreste primarie e vetuste sono soggette a protezione rigorosa;
- ogni Stato membro ha tempo fino al 2023 per individuare le nuove aree protette e i corridoi ecologici per contribuire al raggiungimento di questi obiettivi;
- Le biomasse legnose da destinare a uso energetico devono essere preferibilmente quelle residue o da scarti di lavorazione;
- eliminazione delle biomasse energetiche ad alto rischio di deforestazione;
- agricoltura biologica sul 25% dei terreni agricoli;
- conservazione della diversità dei paesaggi agricoli sul 10% dei terreni coltivati;
- riduzione del 50% dei pesticidi chimici;
- riduzione dei fertilizzanti del 20%, lavorando sul contenimento delle perdite;
- 3 miliardi di nuovi alberi da piantare;
- piani di sviluppo verde per tutte le città con più di 20.000 abitanti.
Concetti che dovranno trovare la cosiddetta ‘quadra’ con il Tuff e con le affermazioni/aberrazioni di alcuni esperti in materia, che in Italia ricoprono ruoli di primaria importanza. Tra questi, il prof. Davide Pettenella, docente di Economia forestale presso l’Università di Padova e coordinatore del gruppo di lavoro che ha elaborato la bozza della Sfn, il quale, nel corso dei “Dialoghi sulla bozza di Strategia Forestale Nazionale del 13 Maggio 2020” (https://www.youtube.com/watch?v=G6O0afI0XrY&feature=youtu.be), ha affermato al minuto 37’45’’: «Noi non siamo una corporazione pro foreste, noi siamo una comunità di portatori di interesse che hanno a cuore lo sviluppo del territorio rurale». Non c’è bisogno di alcun commento. E non è un caso se per la prima volta il Ministero dello sviluppo economico è coinvolto in questo ambito, ma un’ulteriore dimostrazione dell’approccio che vede nel bosco una ‘risorsa’ da sfruttare per alimentare i profitti di taluni e non certo come bene collettivo da preservare anche ai fini della tutela della salute pubblica, del paesaggio e della valorizzazione territoriale.
Stai, stop taglio alberi italia
Il servizio di Francesca Canino su Il Giornale dell’Ambiente